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III.
L’UNICO.
L’êra precristiana e la cristiana perseguono due fini opposti: la prima vuole idealizzare il reale; la seconda vuole realizzare l’ideale. L’una cercò lo «Spirito Santo»; l’altra la «glorificazione del corpo». Perciò la prima terminò con l’insensibilità in riguardo al reale, col «disprezzo del Mondo»; mentre la seconda si chiuderà con l’abbandono dell’ideale, col «disprezzo dello spirito».
Il contrasto tra il reale e l’ideale è inconciliabile; l’uno non potrà mai divenire l’altro: se l’ideale si mutasse in reale, non sarebbe più l’ideale; e se il reale diventasse ideale, sarebbe l’ideale e non più il reale. La contraddizione dei due termini non può essere risolta se non si annientano entrambi. È in questo sì, in questo terzo, che tale contraddizione si dissolverà; altrimenti, ideale e reale non si immedesimeranno mai. L’idea non può essere realizzata e resterà ancora idea; bisogna che come idea essa perisca. E la stessa cosa, quindi, deve avvenire per il reale.
Gli antichi rappresentano per noi i seguaci dell’idea; i Moderni quelli della realtà. Nè gli uni nè gli altri però sanno liberarsi dal contrasto che li tormenta e si limitano a sospirare ciascuno verso la loro mèta: gli Antichi aspirarono allo Spirito, e dal giorno in cui parve che il tanto atteso Spírito fosse finalmente apparso e che il desiderio del mondo antico fosse soddisfatto, ecco che i Moderni incominciarono ad aspirare alla realizzazione di questo Spirito; realizzazione che deve rimanere eternamente un «pio desiderio».
Il pio desiderio degli Antichi era la santità; quello dei Moderni è il corporeo. Ma, come l’Antichità doveva soccombere il giorno in cui i suoi voti furono esauditi (poichè essa non esisteva che per essi), così è impossibile giungere al corporeo senza uscire dal cerchio del Cristianesimo. Al soffio di purificazione o di santificazione che attraverso il mondo antico (abluzioni, ecc.) fa seguito e corrisponde la corrente