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Adesso ricordava confusamente: la traversata, la macchina, la linea bianca sul campo, il trionfo....

Eppoi? eppoi? che era avvenuto? dove si trovava? dove?

Aperse gli occhi e fece, istintivo, l’atto di sollevarsi. Invano. Il suo corpo pareva di piombo e il vasto letto che lo accoglieva, tutto bianco fra le pareti bianche della stanza deserta, sembrava avvincerlo colla possanza d’un incantesimo.

Egli tornò a ripetersi:

— Dove sono?

E come prima non trovò la risposta. Ma frugava, adesso, collo sguardo ogni angolo della stanza, inventariava gli oggetti, interrogava le cose per ottenere una risposta.

Constatò con piacere che l’ambiente era fragrante di pulitezza, sereno, eminentemente fatto per il riposo calmo e benefico del corpo e dello spirito. Una penombra fresca leggermente tinta in verde assicuravano le finestre spalancate e le griglie accostate, oltre le quali s’indovinava la quiete greve del meriggio estivo. La stanza, molto vasta, era tagliata in due da una tenda bianca tesa da una parete all’altra in faccia al lotto largo e comodo coperto d’una coltre bianca fatta all’uncinetto.

— Questo, — pensò Noris rispondendo a un dubbio melanconico suggeritogli dalla cortina bianca che gli nascondeva l’altra metà della camera, — questo non è un letto da ospedale.

Eppoi, perchè avrebbero dovuto portarlo all’ospedale? Egli non aveva subito incidente alcuno o almeno non ne aveva assolutamente memoria.

Preso da un improvviso sbigottimento si tastò le gambe, il torace, il capo, le spalle.

Che sollievo! no, non era ferito, e nemmeno si sentiva ammalato. Stanco ancora e indolito sì, ma sano e salvo e forte. Cominciò a rigirarsi lentissimamente nel letto per provare i suoi muscoli e le sue ossa. Si riconfermò nella certezza