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Si impose ad alta voce:

— Coraggio!

E ancora si guardò attorno spiando il nemico.

La prigione bianca imponderabile e terribile non si apriva.

Fin dove stendeva dunque i suoi tentacoli quella nuova piovra silenziosa e implacabile?

Dov’era adesso Evolena? Al disotto della sua macchina o più lungi? E a quale altezza si libravano le ali candide del suo velivolo? Come una punta di gelo gli attraversò il cuore il pensiero di quello che sarebbe accaduto di lui e della sua macchina ove l’apparecchio fosse andato a cozzare contro la parete d’una roccia invisibile. Poteva avvenire! dove correva egli adesso in quel chiarore diafano più acciecante della più profonda oscurità?

Non diventava, quella sua, l’aereonave fantasma destinata a essere il soggetto della leggenda nuova nei novissimi tempi, a espiare la rivolta audace del più fortunato Icaro, a rivendicare gli spiriti delle inaccessibili solitudini e dei silenzi eterni di tutte le violazioni subite?

Sorrise alla propria fantasia.

— Divento fiacco, — pensò, — in guardia.

Il volo che si affidava al destino continuava fragoroso senza squarciare la nube immensa e ormai a ogni scoppio del motore il pericolo si faceva più vicino.

Bisognava, a ogni costo, riprendere il controllo della macchina. Il viso di Noris si chinò per la decima volta sull’aneroide, sulla bussola, sull’orologio con tutta l’intensità visiva delle sue pupille: invano. Vagamente egli distingueva gli oggetti e il loro contorno: non riusciva a scorgere i segni cercati.

Come un lampo, il pensiero gli attraversò il cervello:

— Trovato!

C’era il modo di leggere e di vedere, di sapere: l’accenditore!

Un tumulto giocondo gli fece pulsare più ra-