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gio sarebbe terminata. Oltre quel picco, era la Comba di Ferpècle, ossia la valle già ampia, già libera, custodita fra due pareti digradanti ai mediocre altezza.

Ora, Noris desidera va di veder apparire la valle. La tensione del suo spirito, sollevata in un’esaltazione gloriosa sin che il picco formidabile era stato dinanzi a lui, s’era allentata, d’un tratto non appena egli s’era lasciato allo spalle il Cervino. Sentiva il disagio del freddo e della stanchezza come non lo aveva avvertito prima.

Guardò l’orologio fissato dinanzi a lui, sotto i suoi occhi, tra la carta e la bussola. Sul quadrante largo, dalle grosse cifre segnate in rilievo nero, la lancetta segnava le otto. Il suo volo durava da un’ora e mezzo. Fra mezz’ora, adesso, poteva giungere a Evolena. La sua immaginazione precorse il velivolo, vide lo spiazzo all’entrata del villaggio, oltre la Borgne, dove era stato preparato, dietro le sue disposizioni, il campo d’atterramento. Vide e contò ad uno ad uno i suoi meccanici pronti a riceverlo. Vide anche l’automobile che doveva portarlo a Sion donde avrebbe proseguito per Briga e per l’Italia.

Più rapida del velivolo correva la fantasia.

La macchina empiva adesso del suo fragore la pace azzurra e lo sconfinato silenzio al disopra della punta di Zinal: la fantasia dell’aviatore s’era già ritrovata a Torino col piccolo Ugo, tornava con lui a Genova.

Un senso di tedio occupò a questo punto del suo vagabondaggio fantastico il cervello di Noris.

Che avrebbe fatto a Genova?

Nulla! ovverossia molte cose ma nessuna di quelle che allargano il cuore e lo riscaldano.

Egli avrebbe organizzato nuove imprese e cimenti nuovi, e nessun ostacolo sarebbe sorto ad attraversare i suoi ardimenti, poichè nessuno aveva diritti sul suo cuore nè bisogno della sua vita.

Perchè desiderava dunque d’essere giunto? perchè spiava ansioso dietro la Dent Bianche ancora insuperata se apparisse laggiù all’orizzonte