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cando insieme coll’audacia magnifica dell’uomo e colla possanza del cuore metallico della macchina.

— Un vortice, — pensò Noris mentre tutta la sua fredda e nitida percezione era intento, a prevenire, a percepire, a cogliere ogni nuovo assalto del nemico visibile e a pararlo.

Non era nuovo a quel genere di lotta.

Più di una volta i terribili remous lo avevano sorpreso e investito durante i suoi nuovi esperimenti e sempre egli ne aveva trionfato opponendo alla furia dell’assalto la paziente resistenza vigorosa e quasi passiva della sua manovra. Certo, bisognava uscire dal vortice e la sua macchina tentava appunto questa fuga, ma senza impazienza e senza scoraggiamento per gli ostacoli incessanti che l’assalto del gorgo aereo rinnovava e replicava.

Adesso, l’apparecchio pareva dovesse tagliarsi il suo cammino attraverso mille braccia che lo trattenessero e lo respingessero. Per ogni tratto d’avanzata era una spinta nuova, un urto dall’alto al basso che pareva abbatterlo come una mazzata sulla cervice d’un ribelle.

Finalmente, dopo un ultimo sobbalzo violento che sollevò i piani posteriori dell’apparecchio facendo piegare innanzi la macchina come per precipitarla a picco contro il ghiacciaio immenso disteso alla base della piramide, lo sballottamento del vento cessò a un tratto.

Noris respirò. La lotta era durata pochi secondi ma egli ne usciva stanco per la fatica e la tensione sostenute.

— Purchè non me ne venga un altro, — pensò.

Si guardò attorno e non vide più che lo spazio. Ogni vetta era dominata adesso dal suo sguardo e dalla sua macchina: solo dinanzi a lui, vicinissima ormai, la magnifica piramide formidabile estolleva la sua cima isolata tagliata sullo sfondo azzurro con una regolarità così meravigliosa da parere un artifizio. La macchina, adesso, aveva ripreso ad ascendere in larghe volute che man mano offrivano alla visione di Noris