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ralizzano i battiti del cuore e stringono in una morsa ferrea la gola e velano gli occhi di lagrime di fuoco e assiderano le membra e sospendono la vita?

Sì, Ettore Noris conosceva tutto questo e partiva. Conosceva tutto questo ed era partito.

Forse, quando l’impresa gli era balenata sotto forma di un sogno folle, di una vertigine, di un tentativo sovrumano eroico e disperato, egli ignorava la realtà dei pericoli da superare.

Poi, una volta accolta l’idea, aveva risoluto subito di venirne a capo nelle migliori condizioni di riuscita.

Un mese era bastato per i preparativi necessari e i preparativi erano consistiti sopratutto nell’avvicinare il monte per fare la conoscenza del nemico.

Ettore Noris s’era recato dapprima al Giomein poi a Zermatt: aveva soggiornato dieci giorni ai piedi del gigante studiandolo in tutte le ore, osservandolo ad ogni istante: poi, ne aveva cominciata l’esplorazione salendo fino all’estrema base della piramide, camminando per ore e ore sui ghiacciai che formano la base maestosa di quello che Ruskin chiamò «il più nobile scoglio del mondo». Poi lo salì, dalla cresta di Breuil dapprima, in seguito dal versante di Zmutt. Voleva conoscere sotto ogni aspetto non solo la montagna ma il gruppo intero di cime formidabili che costituiscono il dominio del Cervino.

Donde avrebbe spiccato il volo per il suo tentativo audace?

Il pianoro di Breuil, tagliato dal Marmore che porta giù a valle il pianto del ghiacciaio, gli parve dapprima propizio campo per lo slancio. Con un Lavoro facile e rapido si sarebbe certo potuto adattare il terreno necessario. Sarebbe partito da Breuil per scendere a Zermatt: un volo d’aquilotto sopra una catena di picchi nevosi e la discesa audacissima dopo la traversata breve e folle.

Poi, mutò idea. Breuil era troppo sotto la montagna. Bisognava prendere il volo da più lon-