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Questo non era più ardimento, questa era follia. I giornali lo avevano dichiarato, dimostrando in lunghi commenti le insuperabili difficoltà dell’impresa. Anzitutto, superare il Cervino significava elevarsi a cinquemila metri d’altezza, punto non raggiunto mai da nessun aviatore nemmeno per un attimo e significava ancora mantenersi a un’altezza di poco inferiore per molti e molti chilometri, sintanto che il velivolo avesse superato l’altipiano formidabile composto tutto di vette giganti. Quale orgoglio umano avrebbe osato affrontare una simile impresa?

Avesse Noris annunziato di voler intraprendere la traversata aerea dell’Oceano scortato soltanto da una nave che potesse, nei momenti di forzata discesa, diventare piattaforma d’atterramento e di slancio, la sua impresa non sarebbe parsa folle e impossibile come la decisa scalata della più tempestosa fra le cime.

Anche questo aveva detto un giornale e Noris aveva risposto:

— Ci penso alla vostra supposizione: l’Oceano sarà per dopo il Cervino.

No, nessuno osava ammirarlo. Coloro che conoscevano la montagna formidabile e terribile per aver avuto la fortuna di salirla, pensavano con un brivido di terrore nelle vene il fragile apparecchio perduto al disopra della distesa infinita di rocce, di picchi, di creste, di ghiacciai, nell’insidia dei venti urlanti dalle innumeri gole pronti a trionfare della mano pur salda dell’uomo per contendergli la gloria della violazione immaginata mai degli eterni silenzi, della solitudine maestosa e divina.

Ma concepiva soltanto, Ettore Noris, l’assurdo della sua impresa?

Aveva egli veduto mai davvicino il gigante spaventoso col quale si accingeva al duello formidabile? aveva contemplato mai le pareti rocciose, cupe, immenso contro le quali il vento urlante dalle gole immani avrebbe potuto spingere le ali fragili della sua macchina orgogliosa? e sapeva l’insidia delle altezze vertiginose che pa-