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Qualcosa colpì gradevolmente Ettore in quell’atteggiamento. La lusinga che la tacita offerta non aveva compiuto, gli venne da quello scatto d’orgoglio.
Aver conquistato una creatura come quella era qualcosa anche per la sua indifferenza.
Gli dolse che ella se ne andasse così, offesa e ancora cieca sulle ragioni della sua freddezza, persuasa d’essere stata disprezzata.
— No, — disse ponendosi risolutamente dinanzi a lei, — voi non partirete così, Susanna.
Ella lo fissò, sostenne il suo sguardo imperioso, rispose altera:
— Perchè?
Ma quando lo sguardo di Noris si ammorbidì in una carezza buona che poteva anche dare l’illusione di un principio di turbamento, ella sentì sciogliersi il cuore e tutto il suo rancore fondere solo in un grande dolore.
— Perchè? — tornò a chiedere con tutt’altro accento e distogliendo gli occhi dal caro riso dalle espressioni infinite, — che cosa volete?
Egli le prese una mano.
— Questo voglio, — disse, — che voi non abbiate a soffrire.
— Come è possibile?
— Dev’essere possibile, Susanna; per me, per voi, per tutti.
— Ah! — ella esclamò con violenza, — perchè, perchè siete venuto qui?
Egli pregò umilmente, come se davvero fosse stato colpevole:
— Perdonatemi!
E non aveva nessuna responsabilità in quella passione infelice. Proprio egli non aveva pronunziato una parola nè mosso un gesto nè diretto uno sguardo per provocarla. Ma sentiva ugualmente, nella sua squisitezza di cuore, il rimorso di non poter corrrispondere a quell’amore, di non poter sanare la ferita aperta in quel piccolo cuore, di non potere accogliere il dono di quell’amore che si offeriva con tanta ingenua fede.