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ella voleva, a sua volta, assicurarsi la sua stima.
Sì, proprio questo era il bisogno di tutto il suo spirito: che Noris se ne andasse per il mondo portando dentro la sua immagine ripensata con compiacimento intero.
Bisognava, per questo, rivederlo, e non c’era altro pretesto per andarlo a trovare che questo di chiedergli di volar con lui.
Ma il pretesto, escogitato dapprima come un mezzo, le era sorriso a un tratto come una realtà meravigliosa.
Perchè non avrebbe ella davvero volato con Noris?
Lo evocò sospeso nello spazio, sicure sulla macchina fragile e formidabile come seguisse nell’infinito azzurro una traccia visibile soltanto al suo occhio e l’idea di trovarsi lassù con lui, soli nella solitudine immensa, sospesa fra la vita e la morte e strappata agli artigli della morte dalla forza vittoriosa di lui, le pane la più divina fra le ebbrezze, la più profonda fra le gioie, una felicità così grande che solo pensata tastava a dilatare il suo cuore in un’ansia confinante collo spasimo.
Per questo era venuta.
Per questo adesso pregava e alle obbiezioni di Noris che riflettevano sopratutto la sicurezza di lei rispondeva replicando:
— Certo, non può accadermi alcuna disgrazia con voi.
— Che ne sapete? che ne sappiamo?
— Io so: non siete forse invulnerabile?
Ettore sorrise.
— Chi lo dice?
— Tutti coloro che credono in voi.
— Voi compresa?
— Me compresa.
Le sue labbra pronunciarono il laconico atto di fede con un sorriso di tutto il viso, con un bagliore divino dei grandi occhi pieni di adorazione.
— Ed è per questo — soggiunse Ettore — che vi affidate a me?