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C’era molta amarezza nella voce della fanciulla e anche un tremito lieve che sapeva un poco di pianto.
— Perchè? — interrogò Noris stupito.
— Perchè esigo che mi riteniate capace di giudicare un uomo anche astraendo dal suo vestito.
— Non ne dubito.
— E allora non scusatevi. Chiedetemi piuttosto perchè sono qui.
— Voi siete in casa vostra.
— È vero, forse; ma lasciatemi l’illusione d’essere vostra ospite.
— Ahimè! io temo, in questo caso, di dovermi sentire mortificato della povera ospitalità che vi posso offrire. Vedete, non possiedo nemmeno una sedia.
— Sarebbe superflua. Eccomi accomodata magnificamente, — fece Susanna andando a sedere sopra una cassa contenente due latte di benzina.
Noris sorrise, forse per la prima volta, di fronte a lei, d’un buon sorriso di simpatia.
— E adesso, — disse Susanna, — sappiate che io sono venuta per volare con voi.
Ettore Noris guardò la fanciulla sbalordito.
— Volete volare?
— Sì.
— Ma non avete espresso mai questo desiderio.
— Mi è venuto soltanto adesso.
— E volete soddisfarlo subito, così?
— Subito, così.
— È impossibile, cara signorina.
— Non pronunziate codesta parola: essa è assurda sulle vostre labbra.
— Eppure debbo ripeterla: è impossibile.
— Sentiamo perchè.
— Per una infinità di ragioni: intanto, io, stamane non volo.
— Aspetterò dopo mezzogiorno.
— Siete eroica. Ma avete il permesso di vostro padre?
— Mio padre non sa nulla.