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con una cura estrema in quella larga e villosa del buon tedesco con perfetta cordialità ma senza commozione alcuna.

— Cara piccola mano che fra qualche giorno sarai tutta mia.... — fece Kindler chinandosi a baciarla.

Soggiunse dopo un istante di silenzio:

— Voi siete una buona bambina, piccola Susanna, ma bisogna conoscervi come io vi conosco per apprezzarvi come meritate. Io spero che saremo felici insieme.

— Lo spero anch’io, Max.

Il loro amore non ebbe altra espansione.

Quasi subito l’ingegnere si staccò dalla fidanzata per recarsi all’officina e Susanna riprese sola la via verso casa.

Il giardino era deserto, adesso, e la fanciulla malinconica. La bella testolina strana si ergeva ancora disdegnosa e altera in atteggiamento di sfida ma c’era una nube dentro gli occhi di malachite frangiati di nero, sulla purissima fronte bianca sotto il diadema d’oro brunito.

Susanna era malcontenta: se di sè oppure di Max Kindler, non avrebbe saputo dire. Forse di sè e di lui insieme: forse avrebbe voluto che il colloquio singolare non fosse avvenuto, forse lo avrebbe voluto più favorevole a lei. Siccome però tutti i suoi impeti e tutte le sue stranezze non le impedivano di possedere limpido e profondo il senso della giustizia insieme all’abitudine di un’autrocritica severa, ella concluse così la ricerca della genesi del suo malcontento:

— Sono seccata di aver avuto torto di fronte a Max.

Chi portò le conseguenze di quella conclusione, nel suo pensiero, fu ancora Noris.

— Tutto per colpa sua, — ella disse. — Se non era lui, la mia mattinata non era guastata così.

Ma era scritto che per quel giorno Noris dovesse costituire il suo incubo.