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il capo, di parlare, di tacere; una franchezza eccessiva, rude ed eccessivamente pronta nel giudicare, nel condannare, nel respingere; un pessimismo inesplicabile colla sua vita facile e privilegiata e traducentesi in diffidenza contro tutti e contro tutto; una freddezza che forse era soltanto ritrosia eccessiva; una suscettibilità che poteva essere il riflesso di una eccessiva delicatezza. Difetti tutti che potevano pregiudicarla nella impressione di chi l’avvicinava per la prima volta, ma che non impedivano in lei una vera e reale bontà, una profondità sincera, di sentimento, una generosità senza confini e anche una reale docilità.

Per questa sua docilità aveva accettato dal padre il fidanzato propostole quantunque il suo cuore e la sua anima non le avessero mai parlato di Max Kindler. Veramente, di nessuno le avevano mai partito il suo cuore e la sua anima. À vent’anni, Susanna Pearly era sentimentalmente ignara come una bambina. Certo ella pure s’era foggiata un ideale fantastico come ogni fanciulla sogna e si crea fin che il cuore tace e l’anima dorme. E questo signore del sogno di Susanna Pearly era bruno e pallido e aveva un’anima d’artista.

Ma era rimasto confinato nel regno della fantasia e abbandonato senza rimpianto non appena suo padre le aveva parlato di Max Kindler che era biondo e rubicondo e allineava cifre e formule invece di scrivere versi o di cercar colori ma che rappresentava — a detta di suo padre — un partito convenientissimo e ai 9uoi occhi un grande vantaggio, quello di vivere nella stessa casa di suo padre dove ella pure avrebbe continuato a vivere anche dopo il matrimonio nella cornice delle care cose abituali.

Poi, Max Kindler l’adorava. Anche questa era una verità incontestabile.

Con lui, ella non avrebbe mai avuto bisogno di modificare il suo carattere, di costringersi, di sacrificarsi, di soffrire.

Egli l’amava così com’era, l’avrebbe sempre