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Eva non lo assisteva in questa prova nuova, e questa constatazione gli pareva di sinistro presagio.
Eva era lontana e vicina gli era invece Minerva e più vicina gli sarebbe stata lassù: egli la sentiva già dentro di sè, quasi contro alle sue spalle e sentiva il suo sguardo nel cervello, nel sangue, nel brivido lungo che dalla nuca scendeva a ricercargli le vertebre, nel senso di disagio e d’irrequietezza che lo investiva tutto togliendogli ogni serenità.
L’irrequietezza lo prendeva già fin da ora: nasceva dal suo scontento, frutto di contraddizioni infinite, conteneva il rimorso del suo cuore per il corruccio che gli allontanava l’immagine della piccola amica morta, ma anche l’impazienza perchè Minerva tardava a giungere e un segreto timore di un contrattempo qualsiasi che le impedisse di accompagnarlo.
Quest’ultima ragione della sua inquietudine doveva prevalere sopra tutte le altre perchè quando Minerva apparve dopo un istante, più del solito pallida per l’emozione ma anche più bella per l’intensità quasi dolorosa della espressione del suo viso, un’onda di gioia gonfiò il cuore del giovane e fugò per un istante tutte le ombre del suo spirito.
Per un istante. Nessuno si avvide dell’improvviso gaudio interiore come nessuno aveva penetrato le ragioni della sua inquietudine. Anche l’accoglienza che egli fece a Minerva fu dettata tutta soltanto dalla sua volontà, non dall’impulso.
— Siete in ritardo, — le disse levando fuori l’orologio.
— Davvero? non mi pare.
L’orologio diede ragione alla fanciulla: la partenza era stata fissata per le otto e mancavano ancora dieci minuti a quell’ora.
Subito Noris si pentì dell’osservazione fatta che poteva venire interpretata da Minerva come un indice della sua impazienza, che così venne interpretata infatti perchè una luce improv-