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comuni: Adelio, Rolla, Ugo, Folco Ardenza, e Noris preso alla sprovvista in presenza di testimoni, non aveva trovato un plausibile pretesto per rifiutare.
La cosa era stata convenuta tre giorni prima: il volo aveva luogo quella mattina di fine ottobre, con un cielo e un’aria limpide come di maggio.
Il biplano costrutto nell’officina di Noris era sul vasto campo dall’alba, e gli facevano scolta d’onore soltanto i meccanici di Noris e gli operai. Ugo mancava: era partito prestissimo per Genova dove attendevano anche tutti gli amici e i colleghi dell’aviatore e donde nel pomeriggio di quello stesso giorno Noris si sarebbe innalzato per la traversata fino alla Corsica. Della prova nuova, questa era la prima parte: ma si compiva così senza solennità che poteva sembrare soltanto un volo di prova.
Anche senza entusiasmo, si compiva. Noris aveva il viso chiuso e cupo dei giorni di tempesta interiore e i suoi uomini che lo attorniavano, intenti a eseguire gli ordini brevi e rapidi ch’egli impartiva, rispettavano taciturni quel suo evidente malcontento e lo riflettevano sui loro visi.
Era scontento di sè, Ettore Noris. Per la prima volta, nel corso della sua carriera d’aviatore, egli si accingeva a una prova importante senza entusiasmo; per la prima volta non sentiva accenderlo dentro, quella fiamma di esaltazione che metteva la sua fredda serenità al disopra, d’ogni esitazione possibile; per la prima volta — infine — non vedeva delinearsi sull’orizzonte dell’incognita imminente, più vivo e più tangibile del fantasma della possibile morte, il viso ridente e invitante della piccola adorata d’un tempo, morta per lui! Era lontana dai suoi occhi, remoto — gli pareva — persino nel ricordo il profilo purissimo e delicato della piccola Eva, lontano, avvertibile appena quanto occorreva per distinguerne l’espressione d’insofferente corruccio.