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ranza improvvisamente risorta ma anche con una esitazione provocata dall’espressione buia che il viso di Noris aveva assunto:
— Allora... se il posto per il viaggio è libero....
Noris completò per lui la frase:
— Porto te, sì. È convenuto.
Il ragazzo gettò un grido di gioia, si slanciò verso Noris, lo abbracciò, tornò ad esprimere con tutta una gamma di esclamazioni gridate, trillate, gorgheggiate tutta, l’esaltazione della sua anima per l’insperata fortuna e si slanciò fuori, verso il campo.
— Dove vai? — gli gridò Noris.
— A dirlo a tutti.
L’aviatore non lo trattenne. In fondo, non gli dispiaceva che la promessa fatta a Ugo smentisse subite le insinuazioni calunniose fatte su Minerva e su lui, sulla loro amicizia e sui loro rapporti e indovinate attraverso le incomplete confidenze del fanciullo. E non gli dispiaceva neppure che il suo piccolo amico se ne fosse andato e lo avesse lasciato solo, libero di raccogliersi e di ripensare la notizia nuova scoperta.
Dunque, pensavano quello di lui e di Minerva?
Ma chi, precisamente? e perchè? e dove? e quando?
— Tutti! — aveva detto implicitamente Ugo.
E Noris sentiva non solo che il giovinetto era sincero ma, ancora, che la cosa rispondeva alla realtà.
Tutti! Gli amici e colleghi di Genova, gli operai dell’aereodromo, gli abitanti del paese, i villeggianti che egli non conosceva, fors’anche.
— Che sciocchi! — pensò.
Sciocchi e cattivi. Perchè, quella supposizione che avviliva il carattere della sua amicizia con Minerva, che toccava e offendeva la sua rispettabilità? Ma non la conoscevano dunque? E lui, non lo conoscevano? Non avevano dunque più valore la sua fama di invulnerabilità e quella di sdegnosa alterezza della fanciulla?