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questo! — e soggiunse subito: — Sei modesto nei tuoi desideri, stavolta....
— Eh! purtroppo! quando non è lecito ambire di più!
— Come, non è lecito?
— Voglio dire che poichè l’altro posto è preso, debbo per forza accontentarmi di questo!
Noris guardò stupito il suo giovane allievo.
— L’altro posto è preso? — domandò. — Io non ne so nulla!
Ugo diede un sobbalzo.
— No? non viene? non viene più?
— Ma di chi parli? chi è che dovrebbe o doveva venire con me?
— Ma.... la signorina Fabbri!
Il nome di Minerva pronunziato con un particolare accento dal fanciullo, fece corruscare la fronte a Noris.
— Io non ne so niente, — egli disse. — Chi te lo ha detto?
Non sapeva, Ugo.
— Non so più, — egli confessò confuso, — ma lo credono tutti.
— Tutti, chi?
— Gli operai qui; i colleghi laggiù; gli amici.
— Ma perchè?
Appena formulata la domanda, Noris si pentì. Sul viso limpido e schietto del suo piccolo amico s’era improvvisamente diffusa un’espressione di disagio. Come poteva egli dire a Noris:
— Perchè Minerva Fabbri è la tua amante?
Disse con un sorriso che voleva dissimulare un senso di imbarazzo:
— Perchè pare a tutti naturale che debba essere così.
L’espressione corrusca del viso di Noris si accentuò.
— Si sbagliano tutti, — egli disse con una breve voce recisa che voleva smentire anche, oltre il fatto, le supposizioni e le insinuazioni intuite nella incompleta confidenza del fanciullo.
Ugo osò ancora, con un’audacia che gli era data e dalla gioia di quella smentita e dalla spe-