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re, le venivano sopratutto quando ella si dimenticava a contemplare Noris intento a lavorare dinanzi a lei nell’officina o occupato nell’hangar attorno alle sue macchine. Talvolta, le sue pupille intente sprigionavano una forza magnifica che Noris subiva inconsciamente e alla quale ubbidiva levando lo sguardo in viso della fanciulla. I loro occhi s’incontravano così un attimo: pieni di confusione quelli di Minerva, sereni e un poco interrogatori quelli di Noris. Poi, il giovane sorrideva, tornava al lavoro che prima lo occupava e si limitava a chiedere, talvolta:

— Che pensate?

— Nulla, — dicevano le labbra di Minerva.

E l’altro non insisteva più.


*


Si cominciava a discorrere all’aereodromo degli esperimenti da farsi col biplano di Noris, quasi pronto. Il programma era questo: provare la macchina a Cassano con qualche breve volo che l’aviatore avrebbe compiuto solo: fare un più lungo volo a due da Cassano a Genova e infine avventurarsi ancora a due per la nuova prova, fra Genova e la Corsica.

Quella mattina, all’aereodromo, mentre Noris e Ugo lavoravano soli nell’officina, il giovinetto osò chiedere, come aveva fatto altra volta inutilmente, seguendo il suo pensiero con una frase che pareva esserne la continuazione:

— E nel primo viaggio, sino a Genova, chi è che portate come passeggero?

— Ancora non so, — rispose Noris sorpreso.

Lo sguardo del fanciullo brillò di desiderio e di speranza.

— Oh! allora — egli disse — prendetemi con voi!

Era così inadeguato quell’impeto di fervore alla modestia del favore intercesso che Noris non potè a meno di sorridere.

— Immagina! — esclamò, — se non è che