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ris si era affrettato a scrivergli come non gli fosse consentita nessuna illusione. Minerva non ambiva di diventare sua moglie. Colpito così doppiamente, nell’amore e nell’amor proprio, Giorgio Dauro non aveva più trovato il coraggio di mettere a effetto il progetto ventilato in precedenza con Noris: di venire a Cassano e di stabilirvisi trasformando l’aereodromo in una vasta officina per la fabbricazione dei nuovi motori a energia elettrica aerea.

Non veniva più a Cassano, Giorgio Dauro: andava, invece, a New-York per assumervi stabilmente la direzione della nuova Casa che alcuni capitalisti americani si proponevano di fondare laggiù per lo sfruttamento del nuovo brevetto Dauro-Noris per la fabbricazione dei motori.

Così, assente Giorgio Dauro, la pace era finalmente rientrata all’aereodromo colle prime giornate dell’ottobre languido.

Adesso, tutto pareva ritornato come era stato un tempo. Nella casetta di Ettore Noris, Tripoletta aveva ripreso la sua esistenza di adorazione silenziosa, fatta soltanto un po’ più triste dalla presenza continua di Minerva Fabbri.

Noris non usciva quasi più, si rifugiava in una solitudine assoluta e selvaggia ch’egli diceva necessaria ugualmente al suo corpo e al suo spirito dopo il lungo prodigarsi impostogli dalla prova vittoriosa passata.

Lavorava ancora: anzi, era anche per dedicarsi più interamente al suo lavoro ch’egli si era isolato così e che aveva rifiutato tutte le offerte anche le più lusinghiere di partecipare ai raids autunnali.

No, non si sarebbe mosso da Cassano per tanto tempo. A mantenerlo in relazione col mondo esteriore bastavano i colleghi e gli amici che spessissimo salivano da Genova a trovarlo, a informarsi a qual punto fosse il biplano che egli stava costruendo per una traversata a due non più dell’Oceano, stavolta, ma semplicemente del Mediterraneo. A occupare le sue giornate c’era il lavoro e c’era anche la compagnia di Miner-