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ci, scendere qualche volta a Genova, rifare l’antica vita di dissipazione audace. Tradusse subito in atto il proposito. La vita silenziosa che dal villaggio conduceva all’aereodromo passando dinanzi alla casetta dove Minerva aveva preso alloggio, tornò a udire il rombo dell’automobile della Fabbri che ogni sera saliva a prenderla per portarla a Genova e la riaccompagnava poi a Cassano in tutte le ore della notte.
Di nuovo, come un tempo, Minerva fu di tutte le compagnie più arrischiate, comparve in tutti i teatri di varietà — i soli aperti in quella stagione — vegliò noi più compromessi ritrovi notturni.
Gli amici, un po’ attoniti in sulle prime, raccolsero con entusiasmo: Cino Coralli la guardò fare con tristezza, come se riprendendo quella vita un po’ folle. Minerva gli sfuggisse un’altra volta; Paolo Adelio tornò a seguirla fedelmente dovunque, parlando poco e osservandola molto, sconcertato dai suoi rapidi passaggi dall’allegria sfrenata, rumorosa, folle a certi improvvisi silenzi che la rivelavano assente, lontana, sperduta, assorta.
Ella fu ancora l’inaccessibile ma non fu più la saggia: non provocò gli eccessi che una volta la facevano guardare e sorridere sdegnosa con una tranquillità che la rivelava intangibile, ma pareva talvolta volesse chiedere alla folla una ebbrezza, una esaltazione, uno stordimento.
Una notte, giunse ad offrire a Paolo Adelio, che si affrettò ad approfittarne, le sue labbra umide di champagne. Un’ora dopo, nell’automobile che la portava a Cassano, ella chiedeva al giovane che l’accompagnava:
— Temete ancora per me quella tal crisi di cui mi parlavate tempo fa?
— Più che mai, amica mia.
— Anche stasera? ma voi siete davvero troppo pessimista!
— Volete vedere se ho ragione?
— Vediamo!
Rapido, il giovane circondò con un braccio il