Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 260 — |
Amare erano le sue frasi come amaro il suo sentimento. Le dolci espressioni d’umiltà adoratrice, di tenerezza, appassionata che fondono il cuore e accendono d’una stessa fiamma il sangue e lo spirito, erano ugualmente ignorate dal suo cuore e dalle sue labbra.
Spasimo e fierezza, passione selvaggia e alterezza sdegnosa erano il fondo del suo temperamento. Ella avrebbe sorriso e adorato fra le braccia di Ettore Noris se le braccia di Ettore Noris l’avessero stritolata, ma per nessuna cosa al mondo sarebbe uscita dalle sue labbra una parola di dedizione non sollecitato, non implorata, non strappata.
Questo era ben certo.
La dolcezza tormentosa che ella si concedeva di vivere nell’ambiente dove tutto le parlava di lui, dove la solitudine faceva più tangibile la sua presenza, era il suo segreto, il suo caro e torbido segreto che nessuno avrebbe penetrato mai, che sarebbe stato per sempre sepolto nel suo cuore.
Era tutta la concessione che ella faceva al suo amore quella dolcezza segreta.
Dacchè aveva dovuto accorgersi che ogni lotta per uccidere dentro di sè l’immagine di Ettore Noris sarebbe stata inutile, gli sforzi della fanciulla erano stati diretti a salvare almeno in faccia agli altri la sua sconfitta. Nessuno doveva sospettare la verità. Nessuno estraneo e tanto meno Ettore Noris.
Come fare per riuscire nell’intento?
Certo, la misura più saggia sarebbe stata quella di partire, di fuggire. Ma tutti i suoi sforzi per riconquistare la libertà e l’indipendenza del suo spirito, erano vani; Minerva Fabbri aveva rinunziato anche all’idea del viaggio progettato un tempo. Partire, in quelle condizioni, voleva dire soffrire e tormentarsi mille volte di più. Ed ella non voleva soffrire. Già si pentiva di essersi staccata da Noris, di non aver atteso accanto a lui la sua partenza e si trattava di una separazione di pochi giorni, ormai, resa me-