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Adesso, anche la compagnia della fanciulla le ispirava un senso di disagio. Non aveva più nulla da udire, più nulla da dire a quella bambina così lontana dal suo spirito.
Risolvette di scendere sul campo, di visitare gli hangars.
— Non c’è più nessuno, giù?
Sì, c’erano sempre i meccanici di Noris e gli operai di Dauro intenti a lavorarle sotto la direzione di un capo provetto. E c’era ancora una vecchia governante che Noris aveva assunto per affidarle la casa e insieme Tripoletta, e gli hangars erano aperti anche per gli amici colleghi di Noris che vi avevano collocato i loro apparecchi e venivano all’aereodromo quasi ogni giorno.
La notizia fece piacere a Minerva Fabbri. Ella scese sul campo risoluta a trarre fuori il suo apparecchio e a salirvi su per un volo che le ritemprasse la mente e lo spirito. Ma quando entrò nel capanno dove il suo monoplano era custodito e che lo ebbe passato in rivista, s’accorse che per quel giorno avrebbe dovuto rinunziare a volare.
La macchina aveva bisogno di una ripulitura generale. Si accontentò di girarle attorno con un desiderio che diventava tenerezza, poi, passò a rivedere il velivolo antico di Noris nell’hangar attiguo, quello che ormai era stato messo in disparte ma che nel suo stato di servizio glorioso poteva vantare fra l’altro la traversata del Cervino. Gli parlò come a una creatura, viva, come a un amico:
— Poveraccio! dire che adesso è come se tu fossi un invalido!
Le venne il desiderio di trarlo fuori, di provarsi a volare con quello, ma non osò. Le parve troppo audace libertà rispetto a Noris assente.
Tornò fuori, sul campo ampio deserto e tutto dorato dal sole. Dall’officina vicina veniva il canto dei martelli battuti sull’incudine con un ritmo che un ritornello di canzonetta scandeva: due giovani meccanici parlavano forte nel ca-