Pagina:Steno - La Veste d'Amianto.djvu/258


— 252 —

sono sei mesi. Io ero lontano, intento alla fabbrica, alla casa, e mi illudevo. Avevo mandato Susanna in riviera accompagnata da sua madre e da sua sorella. Un giorno mi avvertirono che Susanna moriva. Accorsi, trovai accanto a lei anche Noris che trovandosi a passare da Bordighiera s’era fermato e s’era messo a disposizione delle mie donne. Ha sofferto con noi e quasi quanto noi quel ragazzo. Ma io non ho più potuto incontrarlo, poi. Mi ricorda troppo l’agonia di Susanna ed è ancora troppo recente il mio strazio.

Tacque.

Minerva gli aveva steso la mano senza riuscire a trovare una parola per quel dolore paterno profondo e semplice che ignorava la verità ma che per istinto ripugnava di avvicinare l’uomo che era stato la causa del misterioso male di Susanna e della sua morte.

Dopo un lungo silenzio, ella gli disse:

— Grazie di avermi parlato della vostra Susanna.

Di nuovo le loro mani si congiunsero.

— Quando rivedrete Noris — soggiunse il vecchio Pearly — ditegli che lo ricordo.

Si lasciarono così, e l’ultima impressione che Minerva portò via scendendo da bordo, fu quella del dramma pietosissimo d’amore che il vecchio padre ignorava e del quale era pur esso una vittima.

Toccando Genova, le parve, sulle prime, d’aver raggiunto la liberazione.

Il piacere di rivedere la sua casa e le cose sue, la necessità di riorganizzare la sua vita, di riassettare il suo delizioso appartamento, di occuparsi di cento piccole cose umili, ma indispensabili, l’assorbì tanto, sulle prime, che quasi ella non trovò il tempo per sognare e per soffrire.

Poi la febbre e il tormento ricominciarono. Quando non ebbe più nulla da fare rivide gli amici e di nuovo il fantasma di Noris le fu accanto di continuo, implacabile. Non parlavano che di lui Paolo Adelio, Cino Coralli, Lorenzo Rolla,