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cava, che le mancavano la sua voce e il suo viso e che nessuno e nessuna cosa avrebbero potuto sostituirsi nel vuoto che il suo spirito lamentava.

A bordo, l’argomento di tutti i discorsi era ancora e sempre il viaggio prodigioso che l’aviatore era giunto a compiere. Attraverso le interviste accordate da Noris a qualche giornalista americano se ne conoscevano, adesso, tutti i particolari drammatici che venivano ricordati e commentati con ammirazione e con stupore sempre rinnovati. Il vapore percorreva quasi la stessa rotta seguita dal velivolo diventato leggendario e di sera e di mattina e sotto le stelle, c’era sempre qualcuno, nel gruppo di contemplatori raccolti sul ponte, pronto a ricordare:

— E dire che Ettore Noris è passato lassù!

Ogni volta, il nome terribile e caro dava un sussulto alla fanciulla. Ella socchiudeva un poco gli occhi e vedeva Noris immobile e serio sul suo apparecchio, corrusco in viso ma supremamente tranquillo, attento e sicuro ma pronto a qualsiasi eventualità, anche se quella eventualità si fosse chiamata morte.

Un giorno, a tavola, mentre ancora, come sempre, si parlava di Noris, una miss americana dall’aria insolitamente sentimentale, uscì a dire:

— Come avrei voluto conoscerlo!

— Avete torto, — le osservò un giovanotto con aria sdegnosa, — tutti codesti tipi di uomini d’eccezione acquistano ad essere veduti soltanto da lontano.

— Non Noris, — disse tranquilla un’altra voce maschile dall’altro capo della tavola.

Minerva, che rimaneva ostinatamente silenziosa, levò gli occhi a conoscere l’ignorato difensore di Noris. Vide un vecchio dall’aspetto di militare in riposo rivolgersi alla fanciulla elio prima aveva parlato, per dirle:

— Ho avuto la fortuna di poter conoscere l’aviatore e di discorrere con lui. Ho riportato l’impressione che il fascino dell’uomo non è inferiore, in lui, alla grandezza dell’eroe.