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Era bello Ettore Noris?

Ella non avrebbe saputo dirlo. Certo, le pareva, adesso, che doveva essere impossibile sottrarsi alla volontà di quel viso di dominatore, quando quel viso volesse sciupare il suo suggello in un cuore.

Fin che durò la corsa verso la città, durò la sua contemplazione. Quando la auto si fermò ed essi ne discesero, si trovarono dinanzi a un caffè molto illuminato, molto affollato, molto rumoroso.

— Ora — disse Noris rivolgendosi alla sua compagna — disponete voi. Volete entrare?

— Allora?

— Allora si passeggia.

— Benissimo.

— Non trovate che la vita della strada è molto più interessante di quella di tutti i ritrovi chiusi?

— Senza dubbio, quantunque io trovi mediocremente interessante anche quella.

Minerva lo guardò.

— Siete misantropo a questo punto?

— Ecco: misantropo lo sono diventato a poco a poco; un tempo, l’uomo m’interessava. L’uomo, non gli uomini. E non credo che l’uomo si possa rintracciare nella folla. Nemmeno la vita vera vi si incontra. Non è la vita quella che si vive dentro codeste bolgie.

— Lo sappiamo. Appunto io vi dicevo che la strada è più interessante di tutti codesti ritrovi. Eppoi, credo che nessuno vi entri col proposito di cercarvi la vita. Con quello di dimenticarla, piuttosto, sì.

— Avete ragione. C’è una categoria di uomini per i quali vivere vuol dire quasi sempre stordirsi. Dimenticare, sì, ma non un dolore, proprio: piuttosto, un destino ìmpari al proprio desiderio. Il dolore vero e profondo non ispira mai il desiderio di oblio.

Dopo un istante di silenzio, Minerva osservò:

— Credo che quella vostra considerazione sia