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Ecco, quella gita e quelle piccole occupazioni erano bastate a ritornarle la sua pace. Perchè non avrebbe potuto essere così, sempre?

Arrivò fino a illudersi che forse le sue paure rispetto al pericolo d’innamorarsi di Noris erano fantastiche e vane. Forse quel pericolo esisteva soltanto nella sua immaginazione ed era frutto dell’ozio forzato di quei giorni. Sarebbe bastato ch’ella fosse rientrata nella cerchia della sua solita vita, che fosse tornata a occupare tutte le sue ore e tutte le sue facoltà per veder scomparsa ogni paura.

Senza dubbio. Sarebbe stato così.

Non si era ella sempre salvata dai pericoli che nascono dalla fantasticheria e dal sogno con una vita d’attività intensa e di lavoro? Si trattava, adesso, di ricorrere allo stesso rimedio, e poi, quando l’antica serenità fosse tornata, come avrebbe riso della paura atroce avuta!

Questi pensieri la occuparono per tutto il tempo della passeggiata.

Tornando all’albergo Minerva Fabbri era sicura d’aver ritrovato sè stessa e disposta a giurare che nulla era mutato nel suo cuore e nella sua vita. Malgrado tutta la sua lucidità e l’abitudine presa di controllare ogni movimento del proprio spirito e di indagarne le cause, stavolta ella era ben lungi dall’ammettere e anche di comprendere che, in realtà, le disposizioni di serenità grande del suo spirito e del suo cuore erano causate dalla prospettiva di trascorrere tutta la serata con Noris.


*


Che cosa aveva ella sperato! Che Noris le proponesse una passeggiata romantica sotto le fronde degli ippocastani che fiancheggiavano il lunghissimo ed amplissimo viale prospiciente l’albergo? o una gita in barca, sotto il chiaro di luna, nel silenzio rotto soltanto dal tuffo dei remi nell’onda palpitante sotto le stelle?