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sugli scanni, sulle gradinate delle tribune, sullo steccato per meglio seguire e più lontano le vicende del volo.

Anche Eva si provò.

Si sentiva soffocare ma voleva vedere ancora, voleva vedere....

A stento riuscì a salire sulla propria sedia, e inutilmente.

Un gruppo d’uomini era salito sulla balaustrata della tribuna vicina e le impediva di vedere non solo verso il mare lontano ma nemmeno nel raggio dell’orizzonte più prossimo.

Nulla, non vedeva più nulla.

Intuiva quello che accadeva soltanto dalle parole e dai commenti dei vicini.

E i commenti costituivano un’agonia.

— Ahi! ha incontrato una corrente!

— Ha il vento di fianco!

— Lo vince.

— Non lo vince. Non riesce a girare.

— Ahi! oscilla....

— Sul più su! perchè si ostina a voler girare in quel punto?

— Va! va!

— Cade!

— È caduto!

Un urlo nel pubblico e un’esclamazione disperata più alta dell’urlo, deprecante al destino:

— No! no!

Tutti gli occhi furono d’un tratto fissi nel punto d’onde il grido era partite. Videro due esili braccia candide e nude alzate convulse.... Un attimo, poi più nulla. Le braccia erano ricadute lungo il sottil corpo accasciato che stramazzava sulla gradinata della tribuna, la voce disperata taceva, per sempre, e per sempre era muto anche il piccolo cuore spezzato.

Nessuno pensò o credette la realtà terribile: il pubblico delle tribune s’accorse, con ribrezzo, della morte, solo quando vide un fiotto di sangue sgorgare dalle labbra violacee della caduta e scendere come un rivo di porpora lungo il suo vestito bianco.