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Avrebbe voluto possedere un mezzo dimostrativo e sicuro per misurare la portata del rischio che la sua pace correva.

— Ho deciso di partire, — si disse, — dunque, non lo amo.

Una voce, dentro, suggerì:

— Se Noris morisse?

Sentì ripercuotersi nel cuore, come uno schiarito, l’urto di quella ipotesi. Poi si soffermò ad esaminarla, a notomizzarsi.

No, in fondo, non avrebbe sofferto moltissimo se Noris fosse morto. Certo, ella avrebbe preferito saperlo morto, per esempio, che non innamorato.

Un’altra volta concluse:

— Dunque, non lo amo.

E allora? La sua lucidità si smarriva nel garbuglio d’impressioni contradditorie che tenevano il suo spirito. Era tutto, una sola cosa era ben certa: che ella doveva partire.

Si alzò: stese le braccia in un gesto che era di sfida a sè stessa, disse forte:

— Avanti! bisogna ritrovare la saggezza, Minerva!

Sarebbe partita l’indomani.

— Oggi — si disse — preparo le valigie; così, sono occupata e non penso.

Suonò per dare le disposizioni indispensabili per la partenza e stava consultando un orario quando udì bussare all’uscio della sua camera.

— Avanti, — ella disse ritenendo di vedere comparire la cameriera.

Apparve invece Ugo che si fermò sulla soglia e si scusò:

— Perdonate, signorina, volevo chiedervi se per caso sapete dove sia Noris.

— In sala di lettura, suppongo.

— No, non c’è.

— Ma c’è stato. Io l’ho lasciato colà che sarà poco più di un’ora.

— Vuol dire che in seguito è uscito.

— Può darsi. Avete bisogno di lui?

— Non io. Una signora lo cercava.