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della sua presenza, nascondeva il giornale sotto una delle tante riviste che erano sparse sul tavolo e si rivolgeva a stendergli la mano con un sorriso che non riusciva a dissimulare completamente il suo imbarazzo.

— Già alzato? — gli chiese.

— Sì, per una volta ho fatto come voi. Ho tanta corrispondenza da sbrigare e se non approfitto di queste ore non riesco a farlo mai più. Scommetto che voi avete già fatto la vostra passeggiata, — soggiunse guardando la toeletta della fanciulla, un tailleur bianco molto inglese e molto mattinale.

— Sicuro, io sono alzata da tre ore.

— Siete meravigliosa. E sì che stanotte avete vegliato più tardi.

— Non più tardi di voi. Vi ho sentito rientrare poco dopo mezzanotte.

— È vero. Tornavo dal ricevimento all’«Aviation-Club». Avete fatto male a non venirci: è stata una bella cosa.

— Lo credo. Quando ci si mettono questi americani sono davvero splendidi. Ma io sono stanca di feste, di ricevimenti, di convegni. E tutta quella gente mi annoia. Poi, — soggiunse con un’altra voce, — è stato meglio eh io non sia venuta.

— Perchè? — interrogò Noris.

— Perchè — disse la fanciulla con semplicità — è così strana questa gente che chissà come interpreterebbe il fatto di vederci sempre vicini!

Aveva fissato Noris parlando. Lo vide farsi oscuro in viso, oscuro e confuso.

— Volete alludere — disse — alla frase che una rivista che voi avevate fra le mani poco fa ha stampato sotto il vostro ritratto?

— Anche a quello. Non sapevo che voi l’aveste veduta.

— L’ho veduta, sì.

— Perchè non me ne avete parlato?

— Perchè speravo vi passasse inosservata.

Minerva Fabbri guardò l’amico stupita.