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I due giovani si scambiavano le impressioni reciproche isolati in un angolo del campo d’atterramento preparato presso la riva del mare in uno dei sobborghi della città. Intorno al campo erano state costrutte le tribune per il publico e in un capanno improvvisato in capo al campo, dentro la staccionata, si erano insediati il Comitato pel ricevimento e la stampa.

L’audace e fervida fantasia americana, per la quale nulla è impossibile, aveva accolto con entusiasmo la prospettiva di ricevere e di festeggiare il primo aviatore che fosse riuscito ad attraversare l’Oceano, e adesso, da ventitrè ore, attendeva in orgasmo le notizie sulle traversie del viaggio.

Ogni nuovo radiogramma che portava informazioni sul velivolo provocava una nuova edizione dei principali giornali della città; e man mano le notizie si susseguivano recando la voce che l’aereoplano s’avvicinava alla costa, affluiva il pubblico intorno al campo.

Adesso, le tribune erano tutte gremite e anche il campo era in parte invaso.

Ugo e Minerva Fabbri avevano naturalmente ottenuto dal Comitato di potersi trattenere sul campo e di aver libero l’accesso verso il punto di atterramento onde essere i primi ad avvicinare l’aviatore.

— Chissà in che stato arriverà! — osservò a un tratto Ugo.

— Arrivi come vuole, — fece Minerva, — purchè arrivi.

Sì, ella pure era impaziente ma la sua impazienza era scevra d’inquietudine. Più che di aver finita la prova, ella anelava di vedere Noris e di dirgli tutta la sua gioia.

Socchiuse gli occhi cercando d’immaginarlo e gli parve di rivederlo calmo e imperturbato come lo aveva contemplato durante le lezioni che egli le aveva impartito. Ricordava benissimo la sua fisionomia da pilota. Era una fisionomia fredda e severa, limpida come il cristallo e rigida e chiusa come una maschera di marmo.