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sguardi, in quell’istante, scrutavano ansiosi l’orizzonte! Quante labbra ripetevano il suo nome, quanti cuori palpitavano nell’attesa del miracolo! E quando il miracolo fosse stato conosciuto, non uno fra gli uomini avrebbe più ignorato il suo nome.

Per la prima volta, l’ebbrezza del dominio spirituale ch’era incluso nella gloria gli apparve e lo toccò; per la prima volta egli fu, nel suo intimo, sensibile anche a quell’aspetto del suo trionfo.

Gli apparve a un tratto il viso di Minerva, la cara fida amica che lo attendeva a New-York. Il pensiero di rivedere, arrivando, il viso limpido e fiero della forte amica che tanta sicura fede aveva avuto sempre nel suo trionfo e che avrebbe tanto desiderato di essergli compagna, nell’impresa, gli allargò il cuore e lo riempì di letizia. Buona Minerva! forse era, come Ugo, la sola collega che davvero avrebbe gioito del suo trionfo senza l’ombra d’un riserbo o d’una gelosia. Egli la immaginò già in vedetta, a quell’ora, già tutta presa dall’orgasmo, già intenta a scrutare l’orizzonte e a spiare i messaggi che le navi incaricate di sorvegliare la rotta dell’aereoplano dovevano aver radiotelegrafato mano mano per segnalare il suo passaggio.

Se, come era certo, le navi avevano segnalato anche la tempesta, chissà in quali angoscie doveva trovarsi la fanciulla!

Qui, Noris s’ingannava.

Minerva Fabbri aveva saputo della tempesta e non ne aveva provato alcuna angoscia. La sua fede in Noris era tale che ella non dubitava che egli avesse trionfato anche della tempesta. Dopo il lungo discorso avuto con Giorgio Dauro a Cassano, una sola cosa ella aveva temuto: che davvero Noris pensasse a lasciarsi morire.

Ma prima di accomiatarsi da lui, nell’atto di salutarlo, gli aveva chiesto:

— Vivrete, vero? Volete vivere e vincere?

Ed egli aveva risposto:

— Voglio vivere per vincere, — con uno sguar-