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un poco dalla sua rotta per affrontare il vento almeno in direzione ovest-nord-ovest, ma poi rinunziò a quell’idea. Cambiar rotta significava prolungare il viaggio di qualche ora ed egli aveva invece bisogno di abbreviarlo il più che fosse possibile. Guardò l’orologio: segnava vicine le quattro. Forse, col sorgere del sole, anche quel vento sarebbe cessato o almeno diminuito. Meglio valeva sostenere l’assalto e lottare fin che l’apparecchio fosse uscito dalla zona dell’aggressione. A un certo punto, una raffica più violenta delle altre passò sotto l’ala di destra, la squassò come volesse sollevarla e svellerla. I tiranti d’acciaio raddoppiati e rinforzati opposero all’assalto la vibrazione di tutta la loro metallica anima e l’ala resistette ma tutto l’apparecchio fu per un istante piegato a sinistra, con un così immediato pericolo di venir capovolto, che Noris sentì i capelli drizzarglisi sul capo. Ancora, la sua mano fu pronta a ristabilire l’equilibrio ma quando il pericolo fu vinto, il suo sangue pulsava nelle arterie con una violenza che diceva l’emozione provata.
— Se la macchina non aveva questa velocità, stavolta era finita, — si disse.
Quasi cedesse le armi dopo quella sconfitta, il vento a un tratto diminuì e cadde; la calma ritornò, intorno, rotta appena di tanto in tanto da qualche breve improvvisa raffica sperduta.
Passata appena l’ora di lotta intensa, Noris tornava a provare la tentazione della depressione. Aveva freddo e gli dolevano gli occhi. Se soltanto avesse potuto chiuderli un momento gli pareva che ne avrebbe provato un grande riposo.
Un momento, poichè la calma, intorno, era perfetta, e l’apparecchio filava sicuro sulla sua rotta, cedette alla tentazione e chiuse gli occhi. Li riaperse subito: un senso di vertigine intenso e doloroso lo aveva assalito immediatamente appena le palpebre s’erano calate sopra le sue pupille ed egli aveva sentito che dietro quella vertigine improvvisa c’era, violento e irresistibile, il sonno.