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mulo d’una luce diffusa sull’acqua, per un tratto breve, che si spostava e avanzava regolarmente.

— Il riflesso dei fanali d’una nave, — pensò.

Con meraviglia avvertì che il suo cuore prendeva a battere più veloce. Il pensiero che altre creature umane erano laggiù e dividevano con lui il fascino solenne e impressionante di quelle tenebre e di quella solitudine gli dava una commozione strana.

Come si sentiva vicino a quegli ignoti dei quali non sapeva cosa alcuna; non la nazionalità, non il numero, non il modo di essere, non lo scopo del viaggio!

— Forse, — pensò, — quella è una delle controtorpediniere incaricate di scortare il velivolo.

E anche quell’idea di una protezione sensibile gli fece bene.

Si sovvenne allora soltanto che aveva trascurato di accendere le lampadine elettriche delle quali l’apparecchio era munito, collocate, due al disotto dello scafo, due ai lati, una al disopra e una, infine, in modo da illuminare l’orologio, l’aneroide e la bussola.

Girò la chiave e le lampade si accesero. Subito, come a un segnale, rispose dalla nave il fischio acutissimo e prolungato della sirena che Noris riuscì ad avvertire vagamente come una voce diversa che si sovrapponeva al rombo del motore o che forse, più che percepire indovinò, perchè contemporaneamente un razzo luminoso s’era staccato dalla nave ed era salito verso le stelle solcando d’una stria luminosa la notte buia.

La commozione dell’aviatore si fece più intensa.

— Mi hanno veduto! — egli esclamò ad alta voce, — e forse aspettavano di vedere le luci e mi cercavano e temevano per me!

La sua energia sempre alta e vigile parve intensificarsi.

— Come debbono essere lieti di vedere che tutto va bene! — pensò.

Guardò l’orologio: segnava mezzanotte e tre quarti.