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la campagna umbra. Vivo vivo il ricordo di una notte d’Assisi passata a percorrere lentamente con Eva le stradine fitte d’ombra della piccola città mistica sorse dinanzi al suo spirito.

Quattro anni prima, in una notte d’estate come quella. Stretto accanto alla piccola cara egli era uscito dal paese e insieme s’erano avviati su per la collina. Nei giardini sovrastanti ad Assisi s’erano soffermati a contemplare, ombra più cupa nella diffusa penombra della notte estiva, la distesa infinita della campagna e la linea vaga delle colline ondulate chiudente l’orizzonte estremo. Un orizzonte sconfinato, basso, vicinissimo, acceso da milioni di stelle. Le campane di un convento prossimo suonavano discrete nel silenzio il richiamo del mattutino e la loro voce teneva afferrato e costretto il cuore di Noris.

Ma Eva guardava le stelle, era rapita nelle stelle.

Ancora egli udì la sua voce dirgli tremante di commozione:

— È un firmamento soprannaturale, questo: pare una visione!

Ma allora, Noris non era ancora abbastanza affinato, spiritualmente, per comprendere la dilettissima. Adesso sì, la comprendeva e con lei pensava che certe notti stellate sono alla fede una suggestione viva più efficace d’un’argomentazione.

Gli occhi del giovane intenti alla vôlta celeste, videro a un tratto staccarsi dal firmamento un bolide luminoso, descrivere una vertiginosa scia luminosa e scomparire nel mare. Lo seguì fin che la tenebra dell’Oceano lo ebbe inghiottito e ancora dopo i suoi occhi si soffermarono sull’abisso. L’uniforme buio laggiù: solo di tanto in tanto la luminosità diffusa delle stelle veniva raccolta e rivelata dall’incresparsi lieve d’un’onda. Ma era un lampo. Il chiarore spariva e ancora era, sulla distesa immobile, l’uniforme silenzio e l’uniforme tenebra.

A un tratto, Noris credette di distinguere, ud po’ dietro di sè, alla sua destra, il bagliore tre-