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il menomo turbamento. Aveva avuto la fortuna, di poter dormire fino quasi all’ora di mettersi in viaggio e adesso sentiva che quel lungo riposo al quale lo avevano costretto Paolo Adelio e Giorgio Dauro era stato davvero benefico.

— Purchè non faccia troppo freddo stanotte, — pensò, — questo viaggio si ridurrà a un giuoco.

Per precauzione, egli si era premunito anche contro il freddo, ma era poco probabile che la notte si presentasse soverchiamente fresca. L’unica cosa che lo preoccupasse veramente era la lunga immobilità. Una seccatura, non un pericolo. Al pericolo non pensava, assolutamente, o almeno non ne vedeva. Se il motore continuava a funzionare come funzionava ormai da due ore, e se il tempo si manteneva buono, davvero non avrebbe avuto di che preoccuparsi.

Quelle prime ore di viaggio gli erano passate rapidissime. L’aereoplano correva vertiginosamente lanciato come un bolide nello spazio, fra i due azzurri senza confine, sopra una traiettoria perfettamente orizzontale e Noris aveva l’impressione di trovarsi sempre nello stesso punto, tanto uniforme era la visione che lo circondava: un chiarore luminoso che la velocità del velivolo faceva sembrare striato da innumeri solchi vicinissimi impercettibili al disopra del suo capo, e una superficie sconfinata, palpitante dinanzi a sè, sotto, intorno; una distesa punteggiata d’oro, striata d’azzurro, di verde, di viola, di bianco dove la fantasia vedeva quello che gli occhi non riuscivano a distinguere; le lievi spume bianche delle larghissime onde che la brezza in un avvicendarsi continuo formava, sollevava e sfrangiava.

A un tratto, improvviso, all’orizzonte estremo, il sole scomparve, s’inabissò come inghiottito dal mare e sul mare parve dissolversi la sua luce in una coloritura meravigliosa di porpora liquida, di oro disciolto, che insieme si fusero in un’unica vampa che prese tutto l’orizzonte.

Un grido d’entusiasmo sfuggì dal petto di No-