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tare la notte in condizioni di resistenza e di energia complete, non ancora infirmate dalla stanchezza.

Adesso i suoi occhi non si staccavano dal barometro: aspettava che il velivolo avesse raggiunto l’altezza utile onde far azionare il motore dell’energia elettrica. Quando il barometro segnò la cifra, le due assicelle metalliche fissate nella parte superiore del motore cominciarono a vibrare insistentemente. L’energia nuova entrava in funzione.

Ora la benzina che gli aveva servito per portarsi fino a quell’altezza diventava superflua: isolata dall’accensione spenta, essa diventava una riserva che avrebbe potuto diventare preziosa ancora solo in caso d’un’eventuale irregolarità di funzionamento di quella parte dell’apparecchio che doveva usufruire dell’altra energia.

Ma l’apparecchio funzionava benissimo e filava con una rapidità vertiginosa. L’ora era tutta, di calma e tutta d’oro: non un soffio di vento, non una nube in alto: il sole scendeva all’orizzonte estremo fatto di due azzurri fusi in un’unica linea evanescente: fra due ore sarebbe scomparso in mare ma la sua traccia sarebbe durata a lungo nello spazio limpidissimo poichè era quella la stagione dei lunghi tramonti e delle albe precoci.

Nei calcoli fatti da Noris, sei ore erano concesse alla notte, al buio, al genio delle tenebre; fra le nove e mezzo di sera e le tre e mezzo del mattino. Quando fosse di nuovo spuntata l’alba, egli sarebbe stato a metà del suo viaggio.

Avrebbe avuto una traversata facile? Tutto confortava la sua speranza: il tempo magnifico, il funzionamento perfetto del motore che non tradiva l’alterazione più breve nella isocronia della sua voce possente, le disposizioni sue di forza e di lucidità.

Si sentiva benissimo e aveva il controllo più perfetto di tutto il suo modo di essere; aveva i nervi riposati, distesi, tranquillissimi e il suo cuore non dava un palpito di più e non si sentiva