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adesso abbeverava l’apparecchio versando nel serbatoio misure e misure colme di essenza.
Ettore vegliava sui preparativi. Eva lo vedeva girare intorno alla macchina, toccare qua e là, ispezionare, curvarsi, rialzarsi, rivedere.
A un certo punto lo vide issarsi sull’apparecchio, saltare dentro lo scafo lugubre e sedersi... Credette che egli stesse per partire e il cuore le diè un balzo fino in gola.
Un improvviso rumore caratteristico fatto di scoppi brevi e rapidissimi susseguentisi sopra un rombo costante cupo e raffrenato, la confermò per un attimo nella sua credenza. Poi comprese e il suo tumulto interno si placò un poco.
Noris provava il motore.
Otto uomini distribuiti ai due lati della macchina la trattenevano come si trattiene un cavallo imbizzarrito ardente di slanciarsi in una corsa pazza. Le pale dell’elica giravano vertiginose smarrendo la loro forma nel moto velocissimo descrivendo soltanto una serie di cerchi grigiognoli concentrici e senza fine. E tutto l’apparecchio sussultava, pulsava col suo terribile cuore metallico, fremeva di una violenta vita che pareva sfidare qualsiasi dominio.
Più netta che mai Eva ebbe l’impressione della follia magnifica che Ettore stava per commettere.
Come avrebbe potuto la mano dell’uomo sollevare e dirigere, docile e rispondente, per le vie del cielo quell’ordigno terribile?
Eppure il miracolo si compiva, cento volte si era compiuto e anche Ettore lo aveva già operato.
Qualcosa le gonfiò il cuore che non era più dolore e non spasimo: la commozione ammiratrice che il nuovo verificarsi del prodigio diffondeva come un contagio spirituale attraverso tutta l’immensa folla attonita silenziosa come dinanzi alla celebrazione di un rito.
La prova era terminata adesso; il motore taceva e Noris discendeva dall’apparecchio evidentemente soddisfatto perchè Eva lo vedeva sorridere e accennare affermativamente ai commissari che lo interrogavano.