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re che l’ansia intuita e l’angoscia e lo spasimo dell’amatissima gli pesassero davvero sull’anima.

Ed era così.

Adesso, non per sè, ma per Eva, per abbreviarle il supplizio dell’attesa, per darle lo spettacolo dell’agognato trionfo e la prova della sicurezza del volo, anche Ettore Noris era impaziente di finirla.

Quando il meccanico, rientrato nell’hangar, gli ebbe reso conto della commissione compiuta e ripetuto la frase di Eva: — Come vorrei che fosse finito tutto! — egli diede subito ordine che si portasse fuori la macchina.

Dal suo posto, Eva vide due carabinieri far largo sullo spiazzo dinanzi al capanno e la gente che era sul campo assieparsi di qua e di là dalla tettoia e la prodigiosa macchina apparire alfine, tutta bianca e tutta lucente, accolta da un uragano d’applausi.

Qualcuno, nel pubblico, manifestò la sorpresa che era in molti:

— Come? non vola il Rolla per primo?

— Pare di no poichè Rolla pilota un biplano e questo è un monoplano Blériot.

— Forse volerà dopo.

— Forse.

Adesso la macchina era immobile sullo spiazzo sgombro visibile nitidamente in ogni sua parte agli occhi di tutti, occhi di profani in massima parte, che per la prima volta contemplavano il congegno prodigioso collo stupore attonito di fanciulli.

Anche Eva contemplava la macchina per la prima volta e la colpì subito, prima d’ogni altra cosa, la forma singolare del fusto così simile a quello d’una bara....

— Una bara alata, — ella pensò con un brivido.

Scacciò con un moto di ribellione il pensiero triste che le pareva un presentimento lugubre e forzò la sua attenzione a seguire gli ultimi preparativi dei meccanici.

Il giovane che era venuto poco prima da lei,