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vava su tutte quelle creature, egli cominciò a parlare piano, sottovoce, di tante piccole coso indifferenti alle quali a poco a poco Nadina s’interessò ma che non valsero a strappare dalle sue preoccupazioni la povera madre.

Nel frattempo, l’infermiera andava e veniva silenziosa come un’ombra dal salotto alla stanza di Susanna.

Ogni qualvolta ella compariva sulla soglia, rispondeva alla muta interrogazione degli occhi della signora Pearly con un gesto rassicurato e con una parola:

— Dorme!

Ma quando Noris si alzò per ritirarsi un momento nella sua camera, visto che di lui non c’era bisogno, e annunziò che sarebbe tornato dopo mezz’ora, l’infermiera lo accompagnò fin fuori sul pianerottolo e gli disse:

— Verrete davvero, signore?

— Certamente.

— Dio vi benedica! Io ho paura che la povera piccola non passerà la notte.

· · · · · · · · · · · ·

Non la passò. Verso l’alba, dopo un’alternativa di deliqui e di riprese che riaccendevano la speranza, Susanna spirò, fra le braccia di Noris, come aveva sognato, cogli occhi fissi negli occhi di lui, come per imprimersi nelle sue pupille colla speranza suprema di non uscirne mai più.


*


Pochi giorni dopo, Noris rientrava a Genova turbato fino a esserne depresso nel suo equilibrio e nella sua volontà, nella sua serena energia e nei suoi propositi, da quell’episodio pietoso e lugubre che veniva a intrecciarsi nella sua vita.

Rientrava accasciato sino all’avvilimento, risoluto a dimenticare le visioni tristissime impresse nella sua memoria e nelle 9ue pupille, con una ripresa più attiva di lavoro.