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tutti i giornali che parlavano della vostra impresa. Vero, Susanna?

— Vero, — affermò la fanciulla sorridendo d’uno stanco sorriso sul viso bianco abbandonato stanco, adesso, sui guanciali della sedia a sdraio.

Nadina proseguiva:

— E papà? aveste visto l’entusiasmo di papà! E Kindler!

— Mi hanno telegrafato infatti.

— Chissà quanta gente v’ha telegrafato! Susanna lo diceva. Io avrei voluto mandarvi una parola insieme a Susanna, ma lei mi osservò che probabilmente non ve ne sareste nemmeno accorto nel cumulo di lettere che debbono avervi scritto.

— Mi duole che la signorina Susanna possa aver pensato questo. Vi assicuro — disse rivolto all’ammalata — che ho anzi notato la mancanza del vostro saluto.

— Davvero? — dissero gli stanchi occhi con un bagliore di gioia, — davvero lo avreste desiderato?

— Vedi, — esclamò Nadina, — te lo dicevo io che Noris lo avrebbe notato. Quando compirete un’altra grande impresa, io vi telegraferò, o meglio, verrò a vedervi.

— Verrete entrambe.

— Si capisce, — corresse Nadina confusa e turbata per quell’improvviso richiamo alla realtà lugubre.

Ma per un istante, un silenzio penoso regnò, come se nella stanza si fosse udito il passo della morte.

Fu ancora Nadina che fugò il fantasma interrogando un’altra volto Noris.

— Quando la compirete un’altra grande impresa?

— Prestissimo.

— E cioè?

— Fra un mese o poco più.

— E sarà?

— Permettetemi, vi prego, di mantenere il segreto per ora.