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vostro cuore; io pagherò colla vita la gioia senza nome di rimanere nel vostro pensiero. Vero che non dimenticherete il mio nome e il mio viso poichè anch’io muoio per voi?

Solo il pianto scorato di Noris rispondeva alle desolate parole dell’agonizzante: un pianto che era tutto soltanto espressione d’infinita pietà: pietà della sventuratissima condannata a morire, pietà di sè stesso designato dal destino a essere l’artefice involontario di quella sventura.

Che aveva fatto perchè la fatalità si accanisse così contro di lui? perchè dovevano scavarsi tante tombe lungo la sua via? Ecco: egli non aveva nessuna colpa nella malattia e nella condanna di Susanna, eppure non poteva levare gli occhi su quel leggiadro viso scavato già dalla Morte, su quelle mani pallide divenute diafane, su quella figuretta altera e snella diventata trasparente senza sentirsi tutta l’anima rimescolata dal rimorso come se quella distruzione fosse stata opera sua voluta.

Sgomento, susurrò:

— Bisogna ch’io vi salvi, Susanna, bisogna ch’io vi salvi per non morire di rimorso!

Una contrazione di spasimo passò sul viso della fanciulla: l’onda gelida di una disperazione che era anche peggiore del terrore della morte.

Dio, quelle parole! quell’accento! la voce implorante e straziata che pareva quella della passione e le parole che ancora, ancora ignoravamo la passione e soltanto parlavano di rimorso! No, neppure colla morte ella sarebbe riuscita a strappare l’amore di Ettore Noris. Neppure di fronte alla sua tomba spalancata il cuore di lui si apriva per darle l’estrema illusione e l’estremo conforto!

Piangeva, Noris, e in quel pianto era il tributo di tutta la sua commozione, di tutta la sua pietà, di tutta la sua tristezza: tutto, tutto, tranne l’amore!

Quella constatazione non la sorprendeva: ella non s’era illusa di piegare il cuore del giovane, di accendervi, col barlume estremo della sua