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nel salottino dove l’ammalata, soleva stare quasi tutto il giorno, sentì dirsi:

— Senti, Nadina, vorrei parlare al signor Noris di Max. Ho un incarico da dargli per lui. Vuoi lasciarci soli, cara?

— Sicuro, — s’affrettò a rispondere Nadina.

E in perfetta, buona fede, rivolta a Noris, soggiunse:

— Vedete che voi siete giunto a proposito come la Provvidenza. E avevate paura di disturbare! Sai, — disse ancora, alla sorella, — sono io che l’ho veduto scendere dal treno e che te l’ho portato!

Approfittò per annunziare con intonazione malinconica:

— Quell’antipatico professore non è venuto. Era occupato per un consulto. Ma verrà a momenti in automobile.

— Non importa, Nadina, grazie.

— Invece del professore ti abbiamo portato Noris. Sei contenta ugualmente, nevvero?

— Sì, cara. Ora vattene. E porta via anche miss Betty.

Miss Betty, prima d’allontanarsi, susurrò piano a Noris:

— Mi raccomando, signore, non la lasci parlare troppo.

Il giovane la rassicurò con un cenno del capo.

— Qui, sedete qui, — pregò Susanna prima ancora che le due donne fossero uscite, accennando a Noris una poltroncina presso la sua sedia da ammalata.

Ma l’uscio s’era appena richiuso alle spalle di Nadina e di miss Betty che Noris fu in ginocchio, abbandonato finalmente al suo strazio e al suo rimorso, annichilito nell’atteggiamento che solo armonizzava colla prostrazione della sua anima.

— Noris, che fate? — susurrò Susanna risollevandosi con uno sgomento improvviso, tanto inatteso era quell’atto e quello spettacolo. — Noris! — tornò a dire supplice poichè il gio-