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— Dio Signore! che cosa diremo alla povera signorina!
— Tanto lo desiderava? — domandò sorpresa la signora Pearly.
— Tanto, come non mai. E una sorpresa anche per me. Di solito era sempre così indifferente che i medici venissero o non venissero! Oggi è stata febbricitante per l’orgasmo. Cogli occhi alzati verso il cielo andava ripetendo continuamente: Dio mio, fate che venga! Fate che mi ascolti e venga subito!
Ettore Noris sentì un’onda di sangue salirgli dal cuore al viso come una vertigine. Egli aveva compreso. Per lui, per lui erano quelle parole che le povere donne trovavano incomprensibili; per lui l’appello ansioso della povera ammalata.
Quando la signora Pearly, disperata, gli si rivolse per chiedere:
— Dite voi, dite voi, che cosa dobbiamo fare?
Egli credette di poter davvero consigliare con un’energia che mutava il consiglio in comando:
— Bisogna mandare un’automobile a San Remo a prendere il professore: intanto diciamo alla signorina che egli è uscito e che sarà qui fra poco.
— Sì sì, è la cosa migliore. Permettete ch’io vada a dare incarico al direttore per l’invio dell’automobile. Tu, Nadina, accompagna intanto il signor Noris su! Mi raccomando, avverti prima Susanna. Voi perdonate, caro signore, ma la povera piccola è tanto debole che qualunque sorpresa potrebbe farle male.
Sì, qualunque sorpresa poteva far male a Susanna, ridotta un’ombra ravvolta in un viluppo di veli, come un povero cuore alterato, irrequieto, impaziente, violento che solo resisteva a battere il ritmo della vita dentro le fragili pareti dell’involucro consunto: qualunque sorpresa, ma non quella. Quella era la suprema gioia invocata, attesa e conquistata a prezzo della stessa vita.
E gli affinati sensi della povera malata l’avevano intuita, sentita con certezza prima an-