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Ettore s’inchinò profondamente senza trovare una parola, attendendo ancora.

— No, — riprendeva subito la signora Pearly, — no, non devo dirla questa parola: felice! mentre invece sono tanto disgraziata! tanto disgraziata, caro signor Noris. Ah, se lei sapesse come disgraziata!

Scoppiò in un pianto convulso che fini di turbare Ettore anche perchè il contagio di quel pianto si comunicò subito a Nadina che prese pure a singhiozzare forte. Intorno, i passeggeri che uscivano guardavano il gruppo con curiosità indifferente.

Noris tentava adesso le banali frasi di conforto che le labbra mormorano senza rispondere a nessun sentimento preciso. Avrebbe voluto trovare dell’altro, ma non riusciva. Lo strazio evidente di quelle due donne gli confermava che quanto Susanna aveva scritto a proposito di sè stessa era purtroppo la verità, ma tutte le altre sue supposizioni relative a una connivenza tra madre e figlia per quello che lo riguardava cadevano e questa constatazione lo turbava perchè non gli permetteva ancora di veder limpido nella sua situazione.

Il treno, adesso, aveva proseguito per Ventimiglia e la stazione si sfollava.

Fra le lagrime, la signora si rivolse alla figlia per dirle in francese:

— Non ho nemmeno veduto se è venuto: come si fa adesso?

Ma Nadina assicurava:

— No, mamma, non è venuto: io guardavo.

— Come faremo, allora, come faremo?

— Può darsi che venga più tardi coll’automobile.

— Chissà!

Soggiunse, rivolgendosi a Noris e ricomponendosi il viso turbato da quella crisi violenta:

— Scusate, caro signore. Non vi ho ancora detto, e voi forse non sapete, che ho la mia altra figlia molto malata.

— La signorina Susanna?