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adesso, distrutta dal male, vicina forse davvero alla morte, era subentrata a poco a poco una sottile invincibile angoscia.

Come avrebbe trovato Susanna, e con chi? E quale scusa egli avrebbe addotto per avvicinarla, se pure una scusa era necessaria? Coloro che assistevano Susanna, sapevano della lettera che la fanciulla gli aveva scritto, conoscevano il desiderio suo supremo che egli si accingeva a soddisfare?

Domande tutte senza risposta.

Ma quando il treno giunse nella piccola stazione, e che affacciandosi per discendere Ettore Noris scorse fra i pochi convenuti ad attendere, la madre e la sorella di Susanna, con un’espressione d’ansia commovente sui pallidi visi solcati dallo strazio, comprese che tutti i problemi che egli si era posto tormentosamente stavano per avere la loro soluzione.

Certo la buona signora Pearly e quella piccola Nadina ch’egli aveva un giorno aiutato a raccogliere i fiori nell’hall della villa Pearly aspettavano lui. Susanna doveva aver narrato tutto alla madre, o forse costei aveva tutto intuito e ora veniva a rendersi conto se l’ultimo desiderio della sua creatura sarebbe stato esaudito.

Con quale slancio Ettore Noris saltò dal predellino e corse verso le due donne! In quel momento egli si sentiva avvinto a quelle due creature che tuttavia gli erano poco meno che estranee, come a persone colle quali avesse condiviso tutti gli anni della sua vita e tutte le vicende dei suoi anni.

E quale non fu la sua sorpresa quando vide Nadina, che per la prima lo aveva scorto, volgersi alla madre, indicarlo con un gran gesto di sorpresa lieta:

— Mamma, mamma, il signor Noris!

— Oh, signore, che combinazione singolare! come ne sono felice! — gli gridava adesso sul viso la signora Pearly col suo irriducibile accento inglese, mentire le sue mani si tendevano a cercare quelle del giovane.