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perchè egli potesse giustificare di fronte a sua moglie un’assenza che in realtà intendeva consacrare alla Marinka, aveva scritto e pregato invano.

— Sta fresco se aspetta me! — mormorò Noris, mentire faceva in pezzi la lettera.

Adesso, lo spoglio della corrispondenza era finito. Noris la raccolse tutta e la rinchiuse in un cassetto del banco ripassandola in rassegna mentalmente e rapidamente per vedere se nessuna di quelle lettere esigesse una risposta immediata.

Nessuna.

— Sbrigherò domani le pratiche che esigono una risposta. Adesso, vado.

Chiuse a chiave la porta dell’hangar e quella dell’officina dove nessuno doveva entrare, lui assente, e salì rapido la scala che metteva nel suo appartamento.

Nell’anticamera sorprese Tripoletta intenta a qualche suo ingenuo lavoro e che fuggì rapida all’apparire del «Sidi». Poichè la scena del capanno era già lontana dal suo pensiero e dalla sua memoria, Noris fu meravigliato dapprima di quel contegno.

— Tripoletta! — chiamò annoiato da quella puerilità che le circostanze facevano così inopportuna.

Il visetto sgomento della fanciulla alzato verso di lui in un atteggiamento di confusione implorante lo fece sovvenire.

— Vieni qua, — comandò con fermezza dolce, — io non ho nulla contro di te perchè so che tu non hai colpa.

Bastarono quelle parole a ricondurgli dinanzi la fanciulletta riconciliata e fiduciosa.

Noris proseguì:

— Ho sgridato Ugo: sei contenta?

La fiera piccola testa bruna si piegò due volte rapida a confermare scotendo nel gesto tutti i ricci folti e brevi della capigliatura nerissima.

— Credo, — riprese Noris, — che non ricomincerà più. Adesso ascoltami. Io devo partire subito e Ugo è a Genova.