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intorno alle prove dell’audacissimo cimento che avrebbe meravigliato il mondo.
Anche quell’arrivo imminente entrava in parte nelle ragioni del suo vago scontento. L’ingegner Dauro, antico compagno di studi di Ettore Noris e suo attuale collaboratore aveva manifestato l’idea di abitare nel padiglione dell’aereodromo, insieme a Noris, per essere più uniti, più raccolti, più soli e potersi così dedicare interamente al lavoro che si proponevano di fare insieme. E Noris, che pure era affezionato all’amico, era stato disturbato da quel progetto.
Egli era geloso della sua solitudine come di una intimità che non ammetteva profanazioni e a malincuore aveva accondisceso ad accogliere l’amico, a malincuore si accingeva a mandare Ugo a Genova per provvedere le suppellettili indispensabili all’arredamento della stanzetta che l’ingegner Dauro avrebbe occupato. Ecco: nel fascio di lettere che attendevano ancora chiuse e suggellate sul banco una appunto ve n’era di Dauro che Noris aperse per la prima. Dauro annunziava il suo arrivo per il 28 e si era al 25.
— Ho appena il tempo di preparargli un letto, — penso Noris, rimettendo la lettera nella busta e accingendosi allo spoglio delle altre. Come sempre, compiva quell’operazione con una indifferenza che rasentava la noia. La posta dell’aviatore era sempre voluminosa ma raramente gli accadeva di trovare fra le lettere numerosissime di indifferenti o di ignoti il foglietto che avvincesse la sua attenzione o suscitasse il suo interessamento.
Ecco: una lettera femminile. Una fanciulla pregava l’aviatore illustre perchè volesse proteggere e appoggiare il suo fidanzato che voleva farsi aviatore.
— Non lo ama, — pensò Noris distruggendo la lettera.
Per principio egli non incoraggiava mai i candidati spontanei al più probabile fra i rischi. La