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— In fondo, vedete, se poteste turbarlo un poco, fareste un’opera buona. Non fate quel volto stupito. So già. cosa mi volete dire: che bisognerebbe, prima, ch’egli turbasse voi. Lo so. E mi rincresce che ciò non avvenga, credete. Credo che Noris sarebbe più felice se potesse amare.
Infine, la sua invulnerabilità, mi fa quasi male.
— Ma perchè? — obbiettava la Fabbri.
Non capiva la smania di tutti quegli uomini di voler travolgere anche Noris nella vertigine che per essi riassumeva sola tutta la felicità della vita. Pareva che lo sprezzo sereno del giovane per tutte le debolezze sentimentali e per tutte le complicazioni galanti li offendesse come una ostentata superiorità. Perchè non potevano invece ammettere che egli ubbidisse semplicemente ad una sua istintiva frigidità che lo metteva al riparo da ogni insidia del cuore e dei sensi? Non avveniva lo stesso per lei?
Ecco, ella sì comprendeva Noris e perchè lo comprendeva lo approvava. Non aveva mai sentito il bisogno di specchiarsi in un’altra creatura per vivere e le ripugnava così l’idea di assorbire un’altra vita come quella di lasciar assorbire la sua. No. Ognuno doveva vivere per sè, orgogliosamente, alteramente, anche aridamente.
Aveva ragione Noris. I folli erano coloro che non riuscivano a comprenderlo, che ogni sforzo mettevano in una parvenza di conquista che appena realizzata diventava schiavitù e peso e diminuzione; coloro che lo stordimento confondevano con l’ebbrezza e l’ebbrezza colla felicità; coloro che chiamavano voluttà il prostituirsi alla ricerca d’un brivido del sangue che non aveva ripercussione nel profondo del cuore.
Ella comprendeva Noris e gli attribuiva le prerogative del suo spirito, gli atteggiamenti della sua personalità; il suo freddo orgoglio garanzia di dignità, la sua glaciale alterezza garanzia di castità.
Egli era, nel suo concetto, un solitario sentimentale perchè non provava il bisogno di amare e rimaneva, nella vita, l’incorruttibile perchè