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— Una volta, non conta.

— Io l’ho veduta non una, ma cento volte, e ho conosciuto tutti gli amici suoi. Il giudizio è stato unanime, sempre.

— Una sfinge.

— Appunto. Io la chiamo invece la saggezza marmorea.

— Ma la ragione della sua vita sbrigliata?

— Nessuna. Una gande curiosità di vedere tutte le cose, di conoscere tutto, di sapere tutto. Una ripugnanza istintiva a prendere parte alle commedie, alle farse, alle pochades alle quali fa da spettatrice.

— Vive sola?

— Sola. Ed è ricca. È appunto questa sua assoluta indipendenza che le dà la possibilità di condurre la vita che conduce. La vita di un uomo, ecco, d’un uomo che fosse liberissimo e castissimo insieme. Un tipo, — concluse Adelio, — vedrai. Ma son sicuro che, in fondo, mi sarai grato d’avertela fatta conoscere.


*


Così, Minerva Fabbri divenne l’allieva di Ettore Noris, un’allieva pronta ad apprendere, audace nel provare, docile alle correzioni, attenta alle spiegazioni, non sdegnosa di conoscere anche i particolari più umili del funzionamento della macchina, desiderosa di poter gareggiare anche coi meccanici in tutte le cure gelose dell’apparecchio.

Ettore Noris non ebbe ragione di pentirsi d’averla accolta. La Fabbri veniva regolarmente da Genova ogni due giorni accompagnata soltanto da un ragazzetto che le faceva da chauffeur e sedeva rannicchiato ai piedi della fanciulla mentre questa guidava la vettura con una velocità folle superata soltanto dalla grande sua abilità. Veniva, Minerva Fabbri, salutava affettuosa-