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girà come una cerbiattola o come una gazzella del suo deserto non appena avrà veduto le signore.
— Dille che io desidero che rimanga e che prepari il caffè. Vengo subito.
Fuori, la comitiva s’impazientava. Lorenzo Rolla, che aveva una voce stentorea e al quale l’intima amicizia con Noris dava il diritto di essere prepotente, continuava a gridare come un ossesso. Folco Ardenza, salito sull’automobile, guardava oltre lo steccato se qualcuno apparisse sul campo mentre Paolo Adelio, arrampicatosi sulle spalle di Rolla tentava di dare la scalata al recinto. Ugo comparve.
— Sbrigati, — gli urlò Ardenza dalla carrozza. — Bella galanteria per le signore.
— Io — fece il giovinetto aprendo — non sono il padrone di casa.
S’inchinò alle tre signore invisibili e indecifrabili sotto il complicato viluppo dei veli e delle pellicce, e suggerì rivolto a Rolla:
— Di sopra.
— Noris è su?
— Viene subito.
— Bene. Sa che siamo qui noi?
— Sarebbe un po’ difficile che non lo avesse saputo con quel po’ di chiasso che hanno fatto.
— Senti che tono!
Una triplice risata delle signore accolse l’osservazione di Cino Coralli.
— Le signore ridono: va tutto bene! — proclamò Ugo.
Una squillante voce femminile uscì dal viluppo di pellicce e di veli che si appoggiava a Lorenzo Rolla:
— Ma è simpaticissimo questo bébé.
Ugo s’inchinò.
— Lei, se assomiglia alla sua voce, è deliziosa.
— Vuoi vedere, piccino?
— No, per carità, aspetti di sopra.
— Come ti chiami?
— Ugo.