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Tuttavia la fanciulla risolvette di salutare un’altra volta l’aviatore. Saltò dal letto, spalancò la finestra sulla valle, salutò le vette candide lontane non ancora baciate dal sole e si vestì rapida. Il sogno fatto nella notte viveva limpido nella sua mente come il ricordo d’una realtà. E non lo trovava strano. Lo avrebbe raccontato allo zio, lo avrebbe raccontato a Noris se Noris avesse avuto il tempo d’intrattenersi con lei. Ma certo aveva altro da fare. Adesso era vestita e sentiva l’ospite muoversi nella sua stanza accanto, intento certo a prepararsi per la partenza.
Marguerite fu presa a un tratto dal timore che Noris potesse scendere e abbandonare la casa senza ch’ella potesse rivederlo. Discese rapida, si preparò sulla soglia, vi rimase un poco insensibile alla brezza fredda dell’alba. Poi, andò in cucina. La domestica non era ancora discesa. Sulla credenza, fra gli avanzi dei banchetti pantagruelici del giorno innanzi, stava un piatto colmo di pani al miele d’un bel colore bruno dorato.
Marguerite ebbe un’idea: offrirne uno a Noris. Sarebbe stato un pretesto per salutarlo. I pani, tagliati nelle forme più svariate, portavano tutti nel centro una larga mandorla sbucciata, candidissima. Marguerite ne scelse uno foggiato in forma di cuore e salì col suo piccolo viatico inconsciamente e deliziosamente simbolico.
Noris usciva appunto allora dalla sua stanza. Si incontrarono nel corridoio.
Egli ebbe un sorriso e un’esclamazione di sorpresa lieta.
— Già alzata? ma è così mattiniera lei?
— Sì, — seppe rispondere soltanto Marguerite.
— Brava! che bell’incontro! sarà una giornata buona, questa, per me!
Si avvide d’un tratto del pane che la fanciulla teneva nella destra.
— E abbiamo già appetito a quest’ora, eh? — osservò. — Benone!